Passaggi


Che cos’è il tempo? Un susseguirsi di istanti. Che cos’è un istante? Platone avrebbe risposto lo spazio di tempo tra qualcosa che non è più e qualcosa che non è ancora. I portoni delle foto che si presenteranno allo sguardo sono testimoni immobili di un movimento incessante, quello del tempo.
Con la sua mano il tempo ha segnato le loro pareti, scalfito la vernice, mutato il colore del legno e delle maniglie. Ogni portone, nel tempo, ha raccolto infinite storie che sono la sua storia, che si disvela nell’attimo presente in cui lo sguardo si dispone a coglierne il segreto incanto. Infinite scalfiture, segni, graffi, incisioni. L’usura di quei portoni, il loro continuo aprirsi e chiudersi così come il continuo restare sbarrati da anni e anni, tutto, racconta una ed una sola storia: quella del tempo che, nel suo passare, trascorre e percorre infinite storie che continuamente, accadendo, si consegnano a lui.
Un continuo, infinito, susseguirsi di tanti presenti, di cui i portoni custodiscono i segni.
Quello del tempo, nel suo passare, è un continuo passaggio. Passaggio è anche il varco di un portone, e la sua soglia. Passaggio è il segno ed i segni lasciati dal tempo su quei portoni.
Un passaggio resta tale anche quando nessuno lo attraversa. Noi in che modo attraversiamo il nostro tempo? E il tempo stesso? Ecco perché passiamo senza attraversare davvero, a volte. Compiendo davvero un passaggio non si va e non si viene, ma si resta: nell’unico atto che è la vita – esserci. Le porte si aprono, si chiudono, ma restano sempre lì dove sono, fisse. Eppure, cosa c’è di più dinamico del luogo – del passaggio – che la porta custodisce? Entrare, uscire, attraversarla. La vita si compie passando continuamente per quei luoghi. Quanta vita hanno visto muoversi, nella loro apparente immobilità, questi portoni? Quante voci, discorsi, pensieri, sussurri, parole e preghiere hanno ospitato, nel loro silente aprirsi, chiudersi, essere attraversati, di anno in anno e di tempo in tempo? Cos’è una porta? Qualcosa che limita – e limitando sembra dividere – il dentro dal fuori. Il passaggio è metafora, ma immagine reale e viva, del qui e dell’oltre. Di ogni qui e di ogni oltre possibili. Il qui è qui ed ora, ma c’è un oltre – immobile, eterno – che vede la sua porta d’ingresso, il suo passaggio privilegiato, proprio nell’eterno qui del tempo.
Si può uscire dal tempo come si uscirebbe da un portone?
Attraversare il trascorrere del tempo per approdare al tempo eterno che non trascorre, sempre presente. Le fotografie ci interrogano su questo, credo.
I segreti delle mani che, nel tempo e nei tempi, hanno stretto quelle maniglie, sono noti solo a quelle stesse mani e alle maniglie stesse. Se ci concentriamo solo su ciò che c’è dentro o che c’è fuori, rischiamo di distrarci perdendo ciò che davvero, in silenzio, continua a tramandare una indicazione fondamentale per ogni essere umano: dentro e fuori.
Nel tempo quindi, ma anche oltre il possibile vincolo che ci lega a lui? O che noi crediamo ci leghi a lui?
Se siamo totalmente storditi ed occupati – si sa, le attività, le cose della vita – passeremo sempre distrattamente attraverso quei passaggi, e davanti quei portoni. Attraverso il nostro quotidiano.
Si può usare il tempo, per essere nel tempo e, attraverso questo passaggio, essere oltre il tempo, fuori dall’unico tempo che pensiamo di conoscere, e che è solo un susseguirsi di attimi? Può il tempo smettere di essere una sequenza e rivelarsi come unica presenza eterna?
Ogni foto testimonia i segni del tempo che quei portoni custodiscono. La magia della chimica che ha fatto ossidare le maniglie, il lavoro del sole che ha crepato il legno, la nebbia e l’umidità invisibile dell’aria che, continuamente, respira e dialoga con quei portoni, quelle serrature, quelle maniglie. Se la nostra attenzione non vive e non gode di tutto questo, noi non viviamo e non godiamo davvero di quei passaggi che – assenti protagonisti – tuttavia compiamo, ad ogni attimo. Ogni scatto qui presentato è l’invito ad andare oltre quelle porte sbarrate senza avere la necessità di aprirle, trascendendo ogni tempo che le ha attraversate, semplicemente essendo intensamente qui. Tra l’attimo passato e quello futuro c’è uno spazio. Dilatandolo, intensificandolo, esso trascende ogni attimo che lo ha preceduto ed ogni istante che lo seguirà, realizzando l’eterno. Che non è essere solo fuori dal tempo, ma l’essere del tempo stesso. Che, sempre interamente presente, non trascorre.
Luca Recchi