La mappa e il territorio


Ciò che riusciamo a percepire attraverso i sensi è solo una parte della realtà. Non è “irreale” ma non rappresenta la natura ultima del mondo: ne è solo l’immagine sensibile e spesso mendace. È il “velo” che bisogna rimuovere per arrivare alla vera conoscenza. Quello che conta, la Verità, non può essere raccontata dagli occhi, né descritta dalle parole. Perché le parole e le immagini, descrivendo, limitano. E la Verità non può essere limitata: essa non ha confini. Anche il pensiero razionale, essendo analitico per sua natura, è incapace di comprendere il Tutto. Quello che percepiamo è come una mappa della realtà. Ma la mappa, sebbene utile, non è il territorio. È solo una sua rappresentazione limitata. Questo potrebbe indurci a credere che la nostra condizione umana, per le sue limitazioni, ci impedisca di accedere ad una conoscenza superiore, imprigionandoci nel regno di ciò che è sensibile, nel regno dello spazio e del tempo. Ma proprio questo sentimento, la consapevolezza della nostra limitatezza, è la prova che possiamo trascendere la nostra condizione. Attraverso l’intuizione e la sintesi, persino attraverso l’emozione, a volte, possiamo “sollevare il velo” e scorgere ciò che è oltre i nostri sensi. E così la rinuncia allo sguardo, al tatto, all’olfatto e all’udito stimola, paradossalmente, l’intuizione e suscita in noi il senso di infinito e di eternità, concetti che, per la loro stessa natura, sfuggono alla comprensione della mente razionale. Per “vedere il territorio e non la mappa”, per “sollevare il velo”, quindi, abbiamo bisogno di limitare i nostri sensi e scardinare la concezione del mondo che abbiamo costantemente e inesorabilmente costruito negli anni. Per nostra fortuna esistono dei mezzi che possono aiutarci in questa ardua e nobile impresa. Uno di questi, forse il più antico, è il simbolo. Esso è un segno che rimanda ad un’idea, un riflesso dell’immagine reale che, non descrivendo razionalmente e non limitando, lascia libera la mente di intuire, di comprendere, nel senso di “fare proprio”, un concetto. È un’operazione di sottrazione, una distrazione della mente razionale che, paradossalmente, come in un koan dello Zen, invece di togliere qualcosa, aggiunge. È in quest’ottica che vanno viste queste immagini. Esse non sono importanti per ciò che mostrano e ancor meno per il processo che le ha generate. Esse sono importanti perché sono dei simboli. Nelle trame indefinite delle nebbie, nei contorni sfumati degli alberi, nei profili incerti delle colline, nelle atmosfere senza tempo, offro allo spettatore attento un sussurro di infinito e di eterno, di qualcosa che va oltre la nostra percezione. Questa volta la “mappa”, l’immagine, pur non essendo il “territorio”, vuole essere un suo riflesso e una porta, attraverso la quale, varcare il confine di ciò che è sensibile. Fotografie come simboli. Fotografie come mappe di mappe del territorio, ma proprio per questo doppio cambio di prospettiva, possono essere usate per indicare il reale in modo simbolico e intuitivo.

Spero che avrete voglia di naufragare in questi mari impalpabili di nebbia e spero che questo perdersi sia dolce come il ritrovarsi.